Funghi: false credenze

Credenze, pregiudizi, errati metodi empirici nella determinazione delle specie commestibili

 

FALSE CREDENZE POPOLARI

La rapida crescita e la velenosità di alcune specie di funghi hanno suscitato da sempre la curiosità dell’uomo, favorendo il sorgere di un’infinità di credenze, pregiudizi, errati metodi empirici nella determinazione delle specie commestibili

Una delle credenze popolari più diffusa, riguardo alla commestibilità dei funghi, è quella che dichiara velenosi quelli cresciuti a contatto con ferri arrugginiti e quelli morsi da vipere, ecc.; naturalmente tutto ciò è falso, sia perché la ruggine non è di per sé una sostanza velenosa, sia perché è molto raro, se non impossibile, che una vipera morda un fungo. Oggigiorno, pur essendo ormai accertato che certi funghi sono tossici a causa di determinate sostanze che li compongono, è ancora difficile convincere molte persone che un chiodo o una vipera non possono alterare le virtù alimentari di un fungo mangereccio.

Più pericolosi sono i metodi che stabiliscono la commestibilità dei funghi in base ai più svariati e falsi pregiudizi. Tra i più diffusi ricordiamo quelli del prezzemolo e dell’argento; non è vero, infatti, che se si cuociono dei funghi tossici insieme con del prezzemolo (o con la mollica del pane, la cipolla, l’aglio) questo annerisce: tant’è vero che il prezzemolo o l’aglio cucinato insieme con l’Amanita phalloides conserva il suo bel colore originale.

Ne è vero che un cucchiaino o una moneta d’argento anneriscano se immersi nel liquido di cottura di un fungo tossico: anche in questo caso, la prova con l’Amanita phalloides dimostra che un cucchiaino o una moneta non subiscono alterazioni di sorta.

Non è vero che i funghi che crescono sui ceppi o sui tronchi di alberi vivi sono tutti buoni, tanto è vero che l’Omphalotus olearius (fungo dell’ulivo), fungo tossico in forma abbastanza grave, cresce sul legno degli ulivi e di altre latifoglie.
Non è vero che i funghi di prato non sono mai velenosi: la famigerata Amanita phalloides cresce anche sui prati perché il suo micelio o le radici della pianta simbionte si prolungano notevolmente sotto terra o perché sotto terra ci sono resti vivi di una latifoglia; né mancano,del resto, specie tipiche di prato anche molto tossiche, come ad esempio l’Agaricus xanthoderma.
Non è vero che dando da mangiare un fungo a un gatto o ad un altro animale, se questo non muore possiamo consumare tranquillamente quel tipo di fungo. Tralasciando la crudeltà insita in un tale metodo, va infatti ricordato che l’organismo degli animali è spesso assai diverso dal nostro, per cui certi principi tossici potrebbero essere innocui su di loro e invece mortali sull’uomo; inoltre, il veleno di certi funghi fa effetto anche dopo 20 giorni, per cui l’attesa si prolungherebbe per un lasso di tempo davvero eccessivo.
Non è vero che i funghi invasi da larve, insetti o lumache siano tutti buoni, mentre quelli intatti siano da sfuggire: l’Amanita phalloides è nutrimento (ed anche tana abituale) di certe lumache, mentre altre specie fungine, magari ottime da mangiare, risultano difficilmente attaccate da insetti o altri animali.
Non è vero che i funghi che non fanno coagulare il bianco dell’uovo o il latte sono buoni, un’Amanita phalloides e un’ottima Amanita cesarea, introdotte in una tazza di latte, provocano identica reazione

In conclusione, i funghi sono una ricchezza per le popolazioni ed un patrimonio naturale da difendere, ma non trascurare mai il fatto che essi possono essere anche causa di morte. Le cronache dei giornali, tutti gli anni, portano notizie di persone morte o ricoverate in ospedale per avvelenamento da funghi. Bisogna perciò non seguire consigli che non abbiano una validità scientifica, né effettuare prove empiriche.

È buona norma essere cauti nel mangiare funghi poiché esistono veleni fungini come quello, quasi sempre mortale, delle “tre sorelle”, Amanita phalloides, Amanita verna e Amanita virosa, che agiscono dopo un periodo di incubazione che va da 6 a 40 ore; addirittura il Cortinario di montagna “Cortinarius orellanus”, pericolosissimo, può manifestare i suoi letali effetti da 3 a 20 giorni dopo l’ingestione.

Ultimo aggiornamento: 14/11/2018
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